Il percorso artistico di Egle Piaser prende avvio da una riflessione sul personale e sul conosciuto, per arrivare all’essenza, a ricercare l’intima natura dei fenomeni e ad appurarne l’effettiva esistenza, in una visione minimalista e sintetica che mira a cogliere gli aspetti salienti delle cose, ma che si apre improvvisamente ad una prospettiva più ampia, conducendo il particolare verso una comprensione generale degli accadimenti e delle esperienze.
Fiori e paesaggio acquistano l’aspetto di nuclei espressivi che cercano un punto focale guidando verso il centro del dipinto un’urgenza gestuale che si manifesta poi con andamento pervasivo verso i margini della tela e oltre, a placare l’energia creativa e la forza dell’ispirazione, come in un impeto emotivo e obbedendo alla necessità di portare a compimento un discorso, tenere le fila di un ragionamento che attraverso il sé, la coscienza, si espande verso il circostante.
Queste rappresentazioni di fiori, siano essi singoli esemplari o insiemi, come anche i paesaggi, sono combinazioni ben bilanciate di elementi che si raggruppano più o meno ordinatamente a creare una concentrazione, rivelano la dimensione di dualità insita in esse, che non esplicita un contrasto ma manifesta una costante ricerca di equilibrio e allo stesso tempo una volontà ribelle di scardinamento e messa in discussione delle regole e dei canoni: compositivi, espressivi, cromatici e che trovano voce nella grazia delle forme floreali, nella delicatezza o vividezza delle sfumature e delle tinte accese e di contro nell’incisività del segno che taglia i volumi e crea zione d’ombra, spazi in cui lo sguardo s’immerge a cercare il senso e la quiete.
Evanescenza e carnalità sono manifestate tramite la sensibilità del colore, che sposa punti di luce e oscurità, tonalità neutre e improvvise accensioni a una capacità di modellare la linea in una sequenza ritmica circolare o ascendente, ripetitiva e quasi musicale, dal sentore pressoché mistico, di soliloquio introspettivo e di preghiera.
Il sentimento romantico della natura che si esprime in entrambi i generi ed è in questi esplicitato, più che dalla vastità e incommensurabilità degli orizzonti, dall’intimismo degli scenari ambientali, vissuti e amati, dalla magniloquenza del gigantismo di queste effigi floreali, la cui sovradimensionalità non produce però spaesamento o disagio, ma una tranquillità meditativa ottenuta grazie all’andamento mantrico, reiterato, della disposizione di petali e steli, la quale si trasmette poi all’osservatore che ne viene rapito e attratto e vi s’immerge con piacere e coinvolgimento.
Si tratta di una pittura tattile, sensoriale, in cui possiamo avvertire la leggerezza soffice e vellutata delle corolle, con richiami alla sensualità e al femminile, ma anche alla trascendenza e alla ricerca di un disancoraggio dal terreno e dal materiale che è espresso nella raffigurazione fluttuante e svincolata da qualsiasi appoggio e appiglio a cui legarsi di questi fiori o nell’andamento ascendente e ripetuto delle erbe e dei rami nella vegetazione.
Tutto è comunque legato alla terra, alla fusione degli elementi che si esplicita soprattutto nel paesaggio, lagunare o campestre e sempre immerso in un’atmosfera brumosa e rarefatta, nel trascolorare delle sagome degli oggetti nell’aria e nell’acqua, in quello schermo e filtro dettato dal dripping sottile che vela e nasconde, come a non voler vedere il reale o forse a manifestare la soggettività del vissuto o a suggerire che purtroppo a nessuno di noi è dato scoprire la verità ultima del mondo e dei fenomeni.
I richiami sono alla tradizione della natura morta, in particolare alle vanitas seicentesche e al monito al riconoscimento della caducità di ogni cosa: in effetti queste immagini ci appaiono quasi istantanee, mediate dall’osservazione e dal ricordo e mirate a fissare un momento, un sentimento, un’impressione, destinata subito dopo a decadere, più o meno lentamente, verso la sua dissoluzione.
Vicine alla sensibilità del postimpressionismo e realismo francese ottocentesco, a quella qualità dello stemperare le figure nella luminosità e nei toni, le opere di Egle Piaser si spostano verso un’accezione surrealista, negli accenti simbolici e metaforici, in quel suggerire le sembianze di ieratiche presenze, idoli, entità che ci osservano e si lasciano osservare, con condiscendenza o distacco, e una componente ironica e sdrammatizzante che nega qualsiasi atteggiamento troppo serio o troppo compreso di sé.
L’artista costruisce e definisce l’unità della propria realtà con la forma, il colore e la linea e contemporaneamente la disperde, nella concitazione espressionista dell’azione pittorica, che genera gocciolamenti e colature, aggiunta e sottrazione di materia, pastosa e fluida. Dando vita ad un proprio alfabeto di segni, un codice visivo che racconta la sua storia in corso di svolgimento e dispiega nel continuo rispecchiarsi di spazio e tempo, nell’eterno ritorno della memoria fra passato e presente, il movimento incessante insito in tutto ciò che ci circonda verso il suo finire e ciclico rigenerarsi.
14.04. 2018 Maria Palladino
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