ANIME SILENTI di Maria Palladino
La pittura di Egle Piaser si muove in questa fase più recente seguendo la doppia direzione del gesto spontaneo e dell’ordine razionale dato alle composizioni come anche attinge manifestamente alla memoria e al vissuto e al contempo si libera di ogni appiglio al reale per vagare libera nel puro distendersi fluido del colore dettato dall’istinto.
Il suo operare artistico si concentra da sempre sull’osservazione e sulla traduzione in immagini nel suo personale linguaggio pittorico fatto di definizione e dissoluzione, ai limiti fra realismo e action painting, degli oggetti più usuali e comuni del quotidiano, cose ed elementi della vita comune adoperati e consunti, dall’impiego ma anche dallo sguardo stesso dell’autrice, che li riporta ad un dato periodo della vita, a determinate vicende esistenziali e per questo li traduce in forma di caratteri di un codice soggettivo, grafemi allo stesso tempo intimi e oggettivizzati, di scrittura creativa a metà fra automatismo e progettazione.
Questa riflessione sul mondo naturale diviene perciò pretesto per una autoriflessione sul proprio percorso, artistico e umano, che sottolinea in questi segni grafici in sembianze di fiori la peculiare unità di forma e contenuto.
La forma è data da un particolare procedere esecutivo caratterizzato dal riempimento della superficie del dipinto secondo un’azione che si espande spontaneamente e inarrestabilmente dal centro ai margini della tela e in senso inverso, originando un’operazione espressiva ed estetica che cerca un punto focale e lo ottiene, senza prescindere dal trattamento cromatico di ogni parte del supporto, oltre i confini stessi della rappresentazione. Questo movimento realizzativo ha un inizio e una fine e si placa nel momento in cui la composizione appare compiuta, acquista un suo senso visivo e contenutistico.
Quello che emerge evidente in queste immagini è il contrasto dell’accostamento fra la dolcezza e la grazia degli elementi floreali e insieme la potenza del segno, che ricorda quello del procedimento incisorio, nell’individuazione di pieni e vuoti, superfici più o meno definite che l’ombreggiatura diffusa intacca e apre a spazi nascosti, pieghe e anditi, in cui il nostro sguardo è invitato ad immergersi pur restando discretamente ai margini di uno spazio suggerito ma non pienamente concesso.
La carnalità e il mistero di queste entità-essenze, ritratte in singoli esemplari o gruppi di individui, si dispone secondo una cadenza circolare e una prospettiva di visione verticale e dall’alto che ne mostra il non essere ancorati ad alcun appiglio, steli recisi, come generati e rilasciati dalla matrice in un preciso momento del loro ciclo vitale, a culmine delle loro facoltà, sul punto di esplodere in tutte le loro potenzialità significative e quindi procedere inesorabilmente verso la fine, esseri transitori e labili come ogni cosa su questa terra.
I fiori di Egle sono al contempo presenze simboliche, arcane e mistiche, idoli gotici, identità memori delle vanitas e delle creature enigmatiche e modulari frutto della produzione degli incisori nordici seicenteschi, che disponendosi sulla superficie del dipinto secondo una cadenza ritmica lineare e reiterata, quasi mantrica, benevolmente ci osservano, facendosi testimoni neutrali e delicatamente partecipi delle umane vicende. Una sorta di specchio, personale e oggettivo, in cui è piacevole entrare e immergersi, sempre con i dovuti limiti e cautele, rappresentazione della coscienza dell’artista, che riflette in questo corollario floreale la propria personalità e la sua meditazione sulla realtà circostante.
E’ una realtà altresì lievemente surreale, che dalle trasposizioni precisioniste di Georgia O’Keeffe si avvicina all’attitudine ambigua e seducente della “sposa” di Ernst: una sorta di trasfigurazione sovradimensionata del femminino, in un sembiante che in parte si offre, in parte si cela, innocente e malizioso, grembo florido di possibilità nascoste al nostro sguardo.
L’andamento ritmico circolare della pittura scandisce gli spazi, fra pieni e vuoti e genera il disporsi armonico di petali, steli e corolle in una ripetitività che richiama alla mente la sequenza meditativa e rituale nella composizione dei mandala tibetani.
Il colore spazia dai toni accesi e quasi puri alle tinte neutre i cui accordi producono punti di luce o smorzano la ricchezza degli accostamenti: è la passione per il colore che anima queste tele ed esso, unitamente alla ricerca della forma, testimonia il grande amore della pittrice per la sua materia.
E’ una figurazione che allo stesso tempo si definisce e si dissolve, in una ricerca di sintesi e di essenzialità che riflette e cerca di carpire e fissare l’intensità istantanea e fuggevole delle emozioni, la natura dolce e insieme violenta del mondo.
A tutto ciò si aggiunge e si sovrappone un velo leggero, fatto di gocce e colature perlopiù bianco-grigie, quasi uno schermo che configura il filtro della visione individuale, il confine fra la verità e la percezione, unitamente a quel diaframma protettivo che cela l’interiorità all’esteriorità e rende questa cifra stilistica carattere distintivo di un percorso artistico e umano.
02.11.2017