Dei fiori e della vita
Lorena Gava, 2017
Da tempo i motivi floreali inseguono l’iter pittorico di Egle Piaser. Studiati, indagati e combinati in varie soluzioni, i fiori costruiscono un autentico universo di segni dietro il quale pulsa un carattere forte ed energico. Mi riferisco in modo particolare all’ultima produzione, una serie nutrita di tele di varie dimensioni, in cui emergono superfici sature di colori, dense di umori quasi liquidi e pregne di una sostanza cromatica viva e magnetica. Rose e margherite sovradimensionate, corolle e petali magnificamente ingranditi e accostati fungono da vortici dello sguardo e della mente, assomigliano a mandala potenti dentro i quali si smarriscono gli occhi e i pensieri.
Vigorosi e bellissimi nelle onde succulenti del di-segno e dei pigmenti, i fiori di Egle esibiscono qualità tattili e avvolgenti, riempiono lo spazio secondo un horror vacui personale che si appella, in certi tratti, alla tradizione antica e magica delle esplosioni floreali. Penso alla grande stagione della natura morta fiamminga e seicentesca, alle straordinarie e varie composizioni ideali, legate a fiori di stagioni diverse, vere e proprie enciclopedie di botanica dipinta, la cui storia inizia ancora in epoca medievale con il culto degli erbari, fondati sull’osservazione diretta e accurata delle piante a scopi farmaceutici e medicinali. L’interesse per i fiori ha “radici” lontane e preziose e accompagna memorie laiche e suppliche religiose, basti ricordare gli innumerevoli significati mariologici legati al giglio bianco, all’iris, all’aquilegia che elevano Maria al rango di regina coeli. I fiori avevano la duplice funzione di soddisfare da un lato il desiderio di bellezza e dall’altro di rispondere ad un bisogno di “salvezza” e di “salute” che il Medioevo interpretava in un’unica entità plurale e indissolubile ( come si legge in un testo dello storico, benedettino francese Jean Leclercq).
In epoche più vicine a noi, la grande Giorgia O’Keeffe (1887-1986) considerata la “pioniera” della pittura americana, ci regala immagini stupende di fiori ingigantiti e iperdimensionati, invitandoci a osservarli, a prenderci del tempo per lasciarci sorprendere e trasportare dalle profondità e dalle sensazioni del bianco alchemico di una calla o un giglio: “Non so se abbia maggiore importanza il fiore o il colore. Ma so di aver dipinto il fiore in queste dimensioni per comunicare l’esperienza che ho avuto con il fiore… Per me il colore è una di quelle cose grandiose che rendono la vita degna di essere vissuta e, riflettendo sulla pittura, mi sforzo di creare con il colore un equivalente del mondo, della vita, così come io la vedo” ( tratto da “O’Keeffe”, di Britta Benke, Taschen).
Credo che queste parole incontrino pienamente la meditazione estetica e la prassi pittorica di Egle Piaser, insieme all’istanza antica, colta e raffinata, che ha accompagnato i fiori lungo i secoli. I soggetti della nostra artista vivono contesti, forme e linguaggi pienamente contemporanei: l’energia del tratto insieme alla foga lineare e cromatica traggono alimento da un espressionismo interiore lucido e potente, da un desiderio di rivelazione e affermazione sincero e puro. Capita che l’affaccio bidimensionale della tela carico di petali simili a velluti di seta, conosca un sottofondo di action painting , di dripping con spruzzi grigio-nero vagamente informali, che incidono e scalfiscono la perfezione dei profili a ricordarci, forse, che la bellezza è un attimo, un recinto di contemplazione destinato a passare e a cedere alle ingiurie del tempo.
Ancora una volta, quasi in ossequio al genere della natura morta e quindi al concetto della vanitas, Egle Piaser ci invita a riflettere sul limite transitorio di ogni essenza vitale e lo fa con abilità e consapevolezza, con pregevolissima sapienza compositiva. La medesima capacità costruttiva si coglie nelle opere destinate allo studio di paesaggio dove emergono inquadrature e tagli prospettici singolari, nutriti di pochi colori, generalmente freddi, giocati in tonalità e trapassi chiaroscurali di grande impatto e fascino. Nelle ampie zone dedicate ad arbusti e alberi, si infittiscono i tratti scuri, il ritmo lineare si fa incalzante e continuo. La ridda grafica dà origine ad un suolo cupo che, accostato al cielo, determina un contrasto di buio e di luce, di sistole e diastole che, inevitabilmente, trattiene e simboleggia il ritmo stesso della vita con le sue pause e continue ripartenze.
Egle Piaser convince anche nelle opere in cui rivolge l’attenzione ad un oggetto o ad un dettaglio: particolarmente felici risultano i trompe l’oeil di sedie o vasi ottenuti con un realismo efficace e magico che spesso utilizza la visione dall’alto per aumentarne la veridicità ed esattezza. Che si tatti di una visione dilatata o di una circoscritta porzione di mondo, non muta l’urgenza creativa di un fare pittorico sensibile e partecipe, attento e scrupoloso, desideroso di comunicare insieme alla bellezza, l’insidiosa fragilità del tempo e della vita.